I muretti a secco, una meraviglia italiana ‘patrimonio dell’umanità’

di Chiara Farigu

Ci sono nata in mezzo ai muretto a secco. Ho visto con quanta maestria i contadini di una volta usavano recintare gli appezzamenti di terreno di proprietà. Un’arte sopraffina nel sovrapporre le pietre di piccole e grandi dimensioni senza alcun collante, se non della terra secca per coprire piccoli avvallamenti e mettere in equilibrio il piano successivo. In Sardegna sono una delle modalità di costruzione più antiche e conosciute (i Nuraghe ne sono una meravigliosa testimonianza). Sono figli dell’Editto regio delle chiudende del 1820 che autorizzava a chiudere, ovvero a recintare, terreni considerati fino ad allora di proprietà collettiva per essere coltivati da privati. L’obiettivo era proteggere i campi coltivati, fino ad allora di uso comunitario, dalla pastorizia vagante. Da allora in poi fu tutto un susseguirsi di recensioni più o meno regolari. Non mancarono gli abusi poiché non sempre vennero rispettati i confini e non poche fontane di uso comune vennero inglobate in terreni divenuti privati. “Tancas serradas a muru, fattas a s’afferra afferra, Si su chelu fit in terra, che l’aian serradu puru” (=Tanche chiuse con muro fatte all’arraffa arraffa; se il cielo fosse in terra, avrebbero recintato pure quello”), così descrisse quella frenesia collettiva di accaparrarsi di tutto e di più, il poeta Melchiorre Murenu.
Tralasciando i motivi storici che hanno portato alle cosiddette chiudende, rimane la meraviglia di quest’arte che non conosce tempo. Perché si sposa perfettamente con la natura circostante. Soprattutto in Sardegna, dove le pietre hanno un fascino particolare, dalle più comuni di ogni forma e dimensione, a quelle levigate dal mare, dal maestrale e dal sole che assumono forme curiose, di animali o visi umani, sino ai Menhir, i monoliti presenti in diverse aree dell’isola e alle ‘pietre musicali’ magicamente levigate dallo scultore Pinuccio Sciola, ammirate dai turisti di tutto il mondo.
Lavorarle, assemblarle, sovrapporle, un’arte unica. Soprattutto nei muretti a secco. In Sardegna ma anche in altre parti d’Italia. Una tradizione da rispettare e tramandare. E da ieri dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’Umanità. Perché oltre alla perfezione della tecnica costruttiva “svolgono un ruolo vitale nella prevenzione delle slavine, delle alluvioni, delle valanghe, nel combattere l’erosione e la desertificazione delle terre, migliorando la biodiversità e creando le migliori condizioni microclimatiche per l’agricoltura”.
Una soddisfazione per l’Italia che ha sbaragliato la concorrenza di Cipro, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Slovenia, Spagna e Svizzera.